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- Guida Irpef
Cos'è, calcolo, aliquote e detrazioni. Capire come funziona la “macchina dello Stato” e da dove arrivano i fondi necessari al suo funzionamento non è un’impresa semplice. Devi infatti approfondire la conoscenza del sistema fiscale, principale fonte di entrate per l’Erario statale. Il sistema fiscale italiano è strutturato e composto da imposte e tasse che vanno a finanziare tutti i servizi che utilizzi quotidianamente, dagli ospedali ai mezzi pubblici. Uno dei fondamenti del sistema tributario è l’Irpef, acronimo di Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche. Un tributo che devi imparare a conoscere molto bene, soprattutto quando inizi ad affacciarti sul mondo del lavoro. Si tratta di un’imposta che grava su circa 40 milioni di contribuenti, sia residenti sia non residenti in Italia, che producono un reddito dal proprio lavoro, dai capitali posseduti o da fabbricati e terreni. Se sei anche in una di queste casistiche, allora vuol dire che anche tu sei un soggetto che paga l’Irpef. Come prevede l’articolo 53 della Costituzione italiana, l’Irpef è un tributo progressivo: sei chiamato a contribuire in base al tuo reddito imponibile. Inoltre, è anche un’imposta diretta, ossia che colpisce direttamente la ricchezza nel momento in cui la produci. L’ Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche è molto articolata e viene regolamentata dal Tuir, il Testo Unico delle Imposte sui redditi che spiega tra le altre cose come calcolare e come pagare l’Irpef. L’Irpef è anche una delle imposte che ha subito il maggior numero di revisioni dalla sua entrata in vigore nel 1973. In questa nostra guida troverai una risposta alle tante domande sull’Irpef: da come si calcola, che cosa sono le detrazioni e le deduzioni, fino a capire a cosa servono le addizionali regionali e comunali dell’Irpef. Irpef: che cosa è e come funziona L’Irpef è l’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche ed è uno dei pilastri del sistema tributario italiano. È dovuta dai residenti italiani e non che producono reddito da: lavoro dipendente; lavoro autonomo; capitali; impresa; fabbricati e terreni; altro in baso a quanto previsto dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Si tratta di un’imposta diretta e progressiva, come prevede la Costituzione Italiana all’articolo 53, dove recita: “ Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività ”. Istituita ufficialmente nel 1973, è da sempre una delle imposte più dibattute e discusse in Italia e questo ha portato i diversi governi che si sono succeduti a modificarla e adattarla alle esigenze del Paese. Le regole su cui si fonda l’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche sono contenute nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi, in cui è illustrato anche il metodo di funzionamento delle detrazioni e delle deduzioni. Aliquote e scaglioni sono i due pilastri su cui si basa l’IRPEF e assicurano, insieme alle deduzioni, alle detrazioni e alla “ no tax area ” la progressività dell’imposta. Il calcolo dell’IRPEF tiene in considerazione tutti questi elementi e ti permette di pagare esattamente quanto dovuto. Chi paga l'Irpef? Chi deve pagare l’Irpef? Anche tu sei soggetto al pagamento dell’imposta? Queste sono alcune delle domande che ti poni quando arriva il momento della dichiarazione dei redditi. La risposta è piuttosto articolata. I soggetti passivi di Irpef sono: le persone residenti sul territorio italiano, che possiedono beni e producono redditi in Italia e all’estero; le persone non residenti in Italia, ma che producono parte dei loro redditi sul territorio italiano; le società di persone e capitali; le ditte individuali; le società semplici. Se sei un soggetto residente in Italia, il reddito complessivo è formato sia da quello prodotto sul suolo italiano sia quello prodotto all’estero (in termini tecnici si utilizza la locuzione “ ovunque prodotti ”). Per il calcolo netto dell’Irpef devi tenere in considerazione diversi aspetti che abbiamo già anticipato: deduzioni, detrazioni e il credito d’imposta che ti permettono di abbassare l’ammontare da pagare. Se non sei residente in Italia, devi tenere in considerazione solamente i redditi prodotti con le tua attività nel Paese. Anche in questo caso, per il calcolo dell’Irpef è necessario considerare detrazioni e deduzioni, anche se in forma minore rispetto a chi ha la residenza in Italia. Ad esempio: non puoi accedere alle detrazioni per carichi famigliari. Le detrazioni da portare in dichiarazione dei redditi sono disponibili all’articolo 24 comma 3 del Testo Unico delle imposte sui redditi. Inoltre, c’è una categoria speciale di persone definiti dall’Agenzia delle Entrate “Soggetti Schumacker”. Si tratta di contribuenti: non residenti in Italia; il reddito prodotto in Italia è pari o superiore al 75% del loro reddito complessivo; non usufruiscono nel loro Paese di residenza delle stesse agevolazioni disponibili in Italia. Se rientri in questa speciale casistica, hai diritto a tutte le deduzioni e detrazioni previste dalla Legge. Come si calcola l'Irpef Il calcolo dell’Irpef si basa su quanto prevede la riforma varata dal Governo Draghi nella Legge di Bilancio e che ha modificato gli scaglioni, le aliquote fiscali e le detrazioni. Per i lavoratori dipendenti, i quali pagano parte dell’Irpef già in busta paga, la formula per il calcolo dell’Irpef è abbastanza semplice: Imposta lorda (calcolata sul totale dei redditi prodotti nell’anno fiscale) meno le detrazioni da lavoro dipendente e da carichi di famiglia. Essendo progressiva, l’imposta lorda varia in base all’ammontare totale del reddito, agli scaglioni e alle aliquote che ora analizziamo nel dettaglio. Quali sono gli scaglioni e le aliquote Irpef La riforma Irpef varata dal Governo Draghi ha ridotto a quattro gli scaglioni e le aliquote fiscali (precedentemente erano cinque). Dal 1° gennaio 2022 la rimodulazione è strutturata in questo modo: fino a 15.000€ aliquota fiscale al 23%; da 15.000 a 28.000€ aliquota fiscale al 25%; da 28.000 a 50.000€ aliquota fiscale al 38%; oltre i 50.000€ aliquota fiscale al 43%. Per capire bene come funzionano gli scaglioni e le aliquote è opportuno un esempio numerico. Nel caso in cui il tuo reddito complessivo sia pari a 30.000 euro (al netto delle deduzioni), paghi un’aliquota del 23% fino ai 15.000 euro, mentre l’aliquota del 25% viene applicata solo alla parte eccedente dai 15.000 euro fino ai 28.000 euro. Per gli ultimi 2.000 euro (per arrivare ai 30.000 euro) si applica l’aliquota del 38%. Ecco un riassunto esplicativo: Aliquota del 23% fino a 15.000 euro; Aliquota del 25% da 15.000 a 28.000 euro; Aliquota del 38% da 28.000€ a 30.000 euro. Il legislatore ha previsto anche una “ no tax area ”: i contribuenti che percepiscono un reddito inferiore agli 8.174 euro non devono pagare nessuna imposta. L’esenzione fiscale si basa su un principio di equità: se hai un reddito che non ti permette di arrivare facilmente a fine mese, non puoi essere sottoposto allo stesso carico fiscale di chi guadagna molto di più. Che cosa sono le deduzioni Irpef Una delle problematiche maggiori quando si parla di Irpef è capire la differenza tra deduzioni e detrazioni. Spesso le utilizzi in maniera erronea pensando che siano la stessa cosa, oppure ne scambi il significato. Ecco una spiegazione puntuale di cosa sono. Le deduzioni fiscali sono delle agevolazioni che intervengono direttamente sul tuo reddito complessivo, quello utilizzato per il calcolo delle imposte. In questo modo abbatti la base imponibile e paghi meno tasse. Quali sono le spese che puoi portare in deduzione? Ad esempio, la previdenza complementare, deducibile fino a un massimo di 5.164,57 euro. Puoi dedurre anche i contributi versati per colf, badanti e babysitter e gli assegni di mantenimento versati all’ex coniuge. Quindi le deduzioni intervengono direttamente sul tuo reddito imponibile e prima che avvenga il calcolo effettivo dell’Irpef. Che cosa sono le detrazioni Irpef Le detrazioni Irpef sono una agevolazione che avviene ex post, cioè dopo che hai effettuato il calcolo effettivo dell’imposta da pagare e ti aiutano a diminuire l’esborso. Le detrazioni previste dal Tuir sono tante, molto variegate tra di loro e vengono continuamente aggiornate. Tra le detrazioni fiscali più importanti trovi quella dedicata all’affitto, al mutuo per l’acquisto della casa (puoi detrarre il 19% sugli interessi passivi pagati durante l’anno fino a un massimo di 4.000 euro), bonus ristrutturazione, bonus mobili, superbonus, spese sanitarie e spese assicurative. Quando si paga l'Irpef? C’è una data che devi cerchiare con il pennarello rosso sul calendario fiscale: il 30 settembre. Salvo proroghe, infatti, è la scadenza per il pagamento dell’IRPEF se presenti il modello 730 per la dichiarazione dei redditi. Se, invece, presenti il Modello Redditi Persone Fisiche, il saldo e l’eventuale prima rata di acconto devono essere saldati entro il 30 giugno dell’anno corrente, o al massimo entro i successivi 30 giorni pagando, però, una maggiorazione dello 0,40%. La scadenza per la seconda rata di acconto, invece, è fissata per il 30 novembre. Se sei un contribuente residente in Italia, l’Irpef si paga tramite modello F24, mentre i non residenti possono fare un bonifico all’Agenzia delle Entrate o utilizzare il servizio online. Devi utilizzare le stesse modalità anche se presenti il modello 730 e non hai un sostituto d’imposta (solitamente questo ruolo viene svolto dal proprio datore di lavoro). Se, invece, non hai un sostituto d’imposta, gli importi a credito o a debito vengono aggiunti o sottratti dalla busta paga dal mese di luglio (dipende da quando presenti la dichiarazione dei redditi). Per quale motivo si paga l'Irpef È obbligatorio pagare l’Irpef? E per quale motivo la devi pagare? Alla prima domanda la risposta è molto semplice: sì, a meno che il tuo reddito imponibile non sia inferiore agli 8.174 euro, soglia limite della no tax area. Il motivo per cui bisogna pagarla è molto semplice: contribuire allo stato sociale in base alle tue possibilità. L’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche, infatti, è una tassa diretta e che deve essere corrisposta in maniera proporzionale da tutti coloro che producono un reddito, in modo da rispettare il pilastro della progressività fiscale prevista dalla Costituzione. Addizionali Irpef regionale e comunale: cosa sono Oltre all’Irpef nazionale, sei chiamato a pagare delle addizionali Irpef che finiscono direttamente nelle casse della tua regione e del tuo comune. Si tratta di un’imposta locale che si va ad aggiungere a quella sul reddito delle persone. Il calcolo è molto simile a quanto abbiamo già visto, solo che le aliquote sono molto più basse. L’addizionale Irpef regionale varia da un minimo dello 1,23% a un massimo del 3,33%. Sono le singole Regioni a fissare l’aliquota in base agli scaglioni ed è possibile effettuare un controllo sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze. L’addizionale Irpef comunale viene decisa dai singoli Comuni e non può essere superiore allo 0,8% (elevabile di uno 0,3% dai comuni che non rispettano il patto di stabilità). Riforma Irpef: cosa prevede la delega fiscale Dopo l’approvazione del Parlamento, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (14 agosto 2023) il Governo può portare avanti la riforma fiscale che prevede una revisione generale del sistema tributario, indicando i principi e le misure da adottare. Il Governo ha ventiquattro mesi per portare a termine tutte le riforme fiscali e approvare i decreti attuativi, ma una delle prime azioni sarà la revisione dell’Irpef, con una modifica degli scaglioni e delle aliquote già nella Legge di Bilancio 2024 da approvare entro la fine di quest’anno. Nella Delega fiscale sono previsti i principi generali su cui si baserà la riforma dell’Irpef. L’obiettivo del Governo è di passare da quattro a tre scaglioni, con relativo adeguamento delle aliquote, in modo da arrivare entro la fine della legislatura alla flat tax promessa in campagna elettorale (tenendo sempre in considerazione l’articolo 53 della Costituzione che parla della progressività delle tasse). La revisione dell’Irpef passa anche dal riordino delle deduzioni e delle detrazioni, che al momento valgono una cifra tra gli 80 e i 100 miliardi l’anno. Detrazioni e deduzioni che dovrebbero garantire la progressività fiscale quando si arriverà alla flat tax. La riduzione delle aliquote e degli scaglioni potrebbe costare tra i 3 e i 4 miliardi, risorse che il Governo spera di trovare nella Legge di Bilancio 2024 attraverso una spending review dei vari ministeri. © Riproduzione Riservata
- Ferrovie: Ferrovie dello Stato in cerca di investitori per la rete Alta Velocità
Ferrovie dello Stato si prepara ad aprire il settore dell’alta velocità ai capitali privati. A dichiararlo è stato l’amministratore delegato Stefano Donnarumma, in un’intervista pubblicata da Bloomberg il 26 giugno 2025. Donnarumma ha confermato l’avvio di trattative preliminari con fondi italiani e internazionali per la cessione di quote di minoranza in una nuova società, interamente dedicata alla gestione della rete ad alta velocità. Il valore stimato dell’operazione si aggira attorno agli otto miliardi di euro. Per garantire agli investitori rendimenti stabili, l’AD di FS è in dialogo con il ministero dell’Economia per adottare un modello basato su asset regolati, che assicuri flussi di cassa prevedibili e una remunerazione costante, seguendo lo schema già applicato ad altre grandi infrastrutture. Secondo Bloomberg, tra i possibili investitori figura il fondo italiano F2i Sgr, già attivo nel comparto infrastrutturale. Tuttavia, FS guarda anche a soggetti esteri, in linea con la strategia di internazionalizzazione del Gruppo, senza però venir meno alla propria missione pubblica di servizio.
- Ascensori, cinque punti di sconto extra a chi abbandona il superbonus
Sì al passaggio dall’ex 110% al più conveniente bonus barriere al 75%. Trasformazione ammessa per lavori avviati nel 2023 e proseguiti l’anno dopo. Possibile transitare dal superbonus al bonus barriere architettoniche. Incassando nel 2024 un extrasconto di cinque punti: l’anno scorso, infatti, il superbonus condominiale era al 70% mentre lo sconto per migliorare l’accessibilità degli immobili era al 75 per cento. L’agenzia delle Entrate apre a questa conversione, da attuare in dichiarazione, con la sua guida alle agevolazioni fiscali, che contiene un riepilogo di tutti i chiarimenti elaborati negli anni sui vari sconti disponibili. Gli sconti fiscali Un passaggio importante e innovativo di questo lavoro riguarda il bonus barriere architettoniche. Bisogna ricordare che questa agevolazione è stata limitata, a partire dal 30 dicembre del 2023, per prevenire abusi (come il suo utilizzo per la sostituzione di infissi). Attualmente, e fino al 31 dicembre di quest’anno, si applica alla realizzazione «in edifici già esistenti, di interventi volti all’eliminazione delle barriere architettoniche aventi ad oggetto esclusivamente scale, rampe, ascensori, servoscala e piattaforme elevatrici». Lo sconto fiscale è del 75 per cento. Per l’abbattimento di barriere è possibile sfruttare altri due sconti fiscali: il 50% ordinario e il superbonus, nelle sue varie versioni. Proprio la maxi-agevolazione dell’ex 110%, però, negli anni ha avuto un trattamento sempre peggiore. Passata al 90%, nel 2024 per i condomini era al 70% e nel 2025 è scesa al 65%, peraltro solo per i cantieri avviati entro il 15 ottobre dell’anno scorso. Il passaggio di agevolazione Per meglio sfruttare gli sconti più alti, allora, è possibile passare da un’agevolazione all’altra in caso di lavori che vadano avanti per più anni? Le Entrate rispondono di sì. «Per le spese sostenute nel 2024 - si legge nel documento - è possibile fruire della detrazione di cui al citato articolo 119-ter (quindi, il bonus barriere al 75%) anche in presenza di un intervento iniziato nel 2023 per le cui spese, sostenute in tale anno, si è fruito della detrazione del 50 per cento prevista dall’articolo 16-bis del Tuir oppure del superbonus». Per essere ancora più espliciti, il documento fa anche un esempio. «Con riferimento alle spese sostenute nel 2024, per interventi finalizzati al superamento e all’eliminazione di barriere architettoniche, già avviati in anni precedenti» è possibile continuare a fruire del superbonus, che nel 2024 è al 70%, «nel limite di spesa di euro 96mila», comprensivo anche delle spese sostenute «negli anni precedenti per il medesimo intervento trainato». Oppure, in alternativa, si può «fruire della detrazione di cui all’articolo 119-ter del decreto Rilancio (quindi, il bonus barriere) prevista nella misura del 75% delle spese sostenute». In questo modo, si incassa un beneficio extra di cinque punti. Va ricordato anche che, per i lavori avviati prima del 30 dicembre 2023, valeva ancora il vecchio assetto del bonus barriere, più permissivo e non limitato a soli lavori come scale e ascensori. Nel caso descritto dalle Entrate di lavori a cavallo di anno, allora, potrebbe esserci anche un ventaglio più ampio di interventi agevolati. Riproduzione riservata
- Convocazioni condominiali, email semplice non è valida
La Corte di cassazione stabilisce che le convocazioni via email ordinaria non rispettano la normativa. Solo raccomandata, Pec o consegna a mano garantiscono la validità delle delibere condominiali. Non vale la convocazione dell’assemblea condominiale tramite mail ordinaria. E ciò anche se il singolo condomino ha autorizzato l’amministratore a inviare al suo account di posta elettronica semplice «tutte le future comunicazioni» del condominio. È inderogabile dall’autonomia privata, infatti, la norma di cui all’articolo 66, comma terzo, disp. att. c.c. che prevede l’avviso della riunione soltanto per raccomandata, posta elettronica certificata o consegna a mano (oltre che il vecchio fax): il tutto a tutela degli interessi fondamentali del condominio perché la posta elettronica semplice, a differenza di quella certificata, non è in grado di documentare la consegna dell’atto all’account del destinatario. Risultato: scatta lo stop alla delibera approvata dall’assemblea. Così la Corte di cassazione civile, sez. seconda, nell’ordinanza n. 16399 del 18/06/2025. La comunicazione: un requisito essenziale È accolto dopo una doppia sconfitta in sede di merito il ricorso della società che aveva impugnato la delibera condominiale. Con la riforma introdotta dalla legge 11.12.2012, n. 220, le forme di comunicazione per la convocazione all’assemblea costituiscono un requisito essenziale per la validità delle delibere adottate. E il mancato avviso a uno dei condomini configura un vizio procedimentale che rende annullabile la decisione: spetta all’interessato provare i fatti da quali risulta l’omessa comunicazione; trova ingresso la censura secondo cui compete invece all’ente di gestione dimostrare che tutti gli aventi diritto hanno ricevuto l’avviso in modo tempestivo: la comunicazione dell’assemblea, del resto, è un atto recettizio, diventa dunque efficace solo quando è portato a conoscenza del destinatario. Deroghe non ammesse Non può essere l’amministratore a decidere che gli avvisi delle riunioni possano essere inviati con mail ordinaria né conta la prassi formatasi in tal senso, mentre il regolamento condominiale può stabilire solo forme alternative che consentono la presunzione di conoscenza degli avvisi, al pari della ricevuta di avvenuta consegna della Pec. Il singolo, poi, non può autorizzare la deroga alla norma stabilita per tutelare le regole della collegialità: gli interessi fondamentali del condominio devono essere soddisfatti per tutti i partecipanti. riproduzione riservata
- Quanto costano sdraio e ombrelloni al mare, estate di rincari: le spiagge meno care
I dati delle principali associazioni confermano che una giornata al mare può costare quanto una notte in albergo. Tra rincari, costi accessori e differenze tra le località, un po’ di relax può trasformarsi in un salasso. L’estate 2025 si preannuncia tra le più costose degli ultimi anni per chi sceglie di trascorrere una giornata in uno stabilimento balneare. Ombrellone e lettini, un tempo considerati accessori vacanzieri accessibili, oggi rappresentano una spesa tutt’altro che trascurabile. Secondo le rilevazioni di Altroconsumo, Federconsumatori, Codacons e IRCaF, il costo medio per affittare l’attrezzatura da spiaggia continua a salire, con rincari diffusi lungo tutta la Penisola. Aumentano i listini, ma anche le voci extra, in una stagione dove le parole d’ordine sembrano essere: prenotazione anticipata e attenzione ai dettagli. Quanto costa una giornata al mare: prezzo e rincari Le rilevazioni condotte da Altroconsumo (che si è concentrata sulla settimana dal 3 al 9 agosto), IRCaF (che si è invece concentrata su 14-21 giugno) e Federconsumatori convergono su una cifra: il costo medio nazionale per una giornata in spiaggia, comprensiva di ombrellone e due lettini, si aggira attorno ai 25-26 euro. Altroconsumo parla di 25,80 € al giorno in media su oltre 200 stabilimenti monitorati. IRC.a.F conferma lo stesso valore per la terza fila durante i giorni festivi. Federconsumatori stima una media di 26,20 €. Per le formule settimanali: Altroconsumo e IRCaF indicano un costo medio settimanale di 170,70 €. IRCaF aggiunge che si possono raggiungere i 354 € in località di pregio. Il rincaro annuo varia a seconda delle fonti: IRCaF segnala un aumento del +4,47% giornaliero e +6,41% settimanale rispetto al 2024. Altroconsumo registra una crescita media dei prezzi pari al +5%. Federconsumatori individua un rincaro medio del +2,3%, ma con picchi maggiori in regioni come la Sicilia. Tra i rincari più consistenti rispetto all'anno scorso, il 9% di Senigallia (che però mediamente resta tra le spiagge meno care) e di Alghero (che invece si posiziona tra le più care). Prezzi mediamente invariati rispetto alla scorsa estate a Rimini (tra le meno costose) e Alassio, che invece rientra nei lidi con costi elevati. Estate 2025, le spiagge più economiche Nonostante l'aumento generalizzato, alcune destinazioni offrono ancora prezzi contenuti, soprattutto al Sud e lungo l'Adriatico. L'indagine IRCaF ha evidenziato località dove è possibile trascorrere una giornata al mare con meno di 20 euro, almeno nelle file posteriori. Tra le mete più economiche emerse dai rilevamenti, lidi in Puglia, Abruzzo e Basilicata. Vieste (FG): 13 € al giorno. Maratea (PZ): 18 €. Roseto degli Abruzzi (TE): 17 €. L'indagine di Altroconsumo, relativa invece al pacchetto settimanale 3-9 agosto, evidenzia che le spiagge più economiche del periodo sono: Rimini (prezzo medio 150, prima fila 166) Lignano (154 euro prezzo medio, 164 la prima fila) Senigallia (158 euro prezzo medio, 169 la prima fila) Anzio (176 euro prezzo medio, 182 la prima fila) Secondo IRCaF, relativamente però alla settimana 14-21 giugno, la media nazionale di un pacchetto settimanale si aggira attorno ai 170,70 euro (+6,41, cioè +10,28 euro rispetto all'anno passato). Secondo IRCaF, il Sud Adriatico rappresenta la fascia geografica più conveniente, grazie a un mix di offerta ampia, concorrenza tra stabilimenti e minori costi fissi. Tuttavia, il consiglio resta quello di controllare bene la posizione (prima fila contro terza o oltre) e i servizi inclusi, perché anche nei lidi economici possono nascondersi costi aggiuntivi non trascurabili. Nella classifica dei mari, Adriatico e Ionio (con prezzo giornalieri medio di 23,43, settimanale di 150,08) sono relativamente meno cari rispetto a mar Tirreno e Ligure (27,20 e 183,17), nonostante i primi due registrino importanti rincari rispetto al 2024 (14,27% giornalieri, 20,54% settimanale) e i secondi abbiano mediamente diminuito i costi (-0,75% e -0,43%). Estate al mare, quali sono le regioni più economiche? Sempre secondo il report di IRCaF, il primato di regione più economica (a livello di medie giornaliere) lo registra l'Abruzzo, con una media di 19, seguito da Basilicata (20) Calabria (21,50) e Puglia (22). Le isole accomunano Sicilia e Sardegna, con una media di 22,50, poi c'è il Veneto a 25. Il podio delle più care parte da Toscana e Marche a quota 26 euro, seconde Lazio ed Emilia-Romagna (27,50), primo posto alla Liguria con 31. Occhio agli extra: i costi nascosti Spesso la spesa effettiva supera il prezzo base di ombrellone e lettini. Diverse rilevazioni, in particolare quella IRCaF, evidenziano la presenza di costi aggiuntivi per servizi non sempre indicati chiaramente nei listini. I principali extra segnalati: Terza persona: supplementi fino a 10 €. Docce o bagni a pagamento: da 0,50 € a 2 € a utilizzo. Cabina: supplementi significativi, soprattutto nei lidi più attrezzati. Giochi per bambini e frigorifero: tariffati a parte. In alcune località si può arrivare a spendere oltre 50 € al giorno pur senza servizi “di lusso”, semplicemente sommando le voci accessorie. Come risparmiare su sdraio e ombrelloni: offerte e nuove soluzioni Per contenere la spesa, Federconsumatori consiglia di: Optare per la mezza giornata o le fasce orarie promozionali (es. dalle 14 in poi). Utilizzare app e portali per confrontare i prezzi in tempo reale. Verificare se è attiva l’assicurazione maltempo, per evitare di perdere l’intera giornata in caso di pioggia. Considerare la condivisione dell’ombrellone in gruppi di amici o famiglie. Preferire lidi senza costi per docce e bagni, ormai presenti solo in alcune zone meno battute. Estate 2025, le località più costose d’Italia Le spiagge della Campania, della Liguria, della Toscana e della Sardegna guidano la classifica delle località più costose. Secondo il monitoraggio IRCaF, le mete più care sono: Sorrento (NA): fino a 60 € al giorno, Lerici (46), Sabaudia (45) e in Costiera Amalfitana (40) Alassio (SV) e Forte dei Marmi (LU): stabilimenti tra i più esclusivi, con listini tra i più alti d’Italia: secondo Altroconsumo ad Alassio una settimana in prima fila costa mediamente 354 € (334 la terza), mentre a Viareggio i costi si aggirano sui 217 euro. Gallipoli (LE): 316 € per una prima fila, 286 per una terza. Anche Codacons segnala un incremento significativo dei prezzi negli stabilimenti di lusso, che in alcuni casi superano i 1.000 euro al giorno, includendo servizi come tende VIP e consumazioni a credito. In alcune zone esclusive, come la Versilia o la Costa Smeralda, gli stabilimenti balneari offrono pacchetti “vip” con prezzi da capogiro. Federconsumatori e Codacons hanno segnalato strutture dove: Il costo giornaliero può superare i 1.500 €, come nel caso di tende private a Forte dei Marmi o a Porto Cervo. Il prezzo include consumazioni, parcheggio riservato, servizio al lettino, minibar e sicurezza privata. Tra gli stabilimenti più cari: Twiga Beach Club (Forte dei Marmi) Nikki Beach (Costa Smeralda) Excelsior Venice Lido (Venezia) Augustus Hotel Beach Club (Forte dei Marmi) Un’estate per pochi? I dati delle principali associazioni confermano che una semplice giornata al mare può costare quanto una notte in albergo. Ombrellone e lettini sono diventati simboli del divario crescente tra chi può permettersi il lusso della comodità e chi deve accontentarsi della spiaggia libera. Andare al mare nel 2025 richiede più attenzione che mai: tra rincari, costi accessori e forti differenze tra le località, una giornata di relax può trasformarsi in un salasso. Confrontare, informarsi e prenotare con anticipo sono le chiavi per godersi l’estate senza troppi pensieri. Riproduzione riservata
- Dichiarazione 730/2025: come evitare acconti per locazioni brevi
Per i redditi 2024, niente anticipo se la cedolare secca al 21% è stata trattenuta correttamente dagli Ota o property manager. Ecco l’indicazione. Redditi da “locazioni brevi” prodotti nel 2024: niente acconti da versare per l’anno 2025 se l’intero ammontare della cedolare secca al 21% è stato trattenuto correttamente dagli Ota (le agenzie di viaggio online come Airbnb e booking) o dai property manager. Nel caso citato infatti l’imposta viene pagata dal locatore (tramite trattenuta) direttamente in fase di generazione del reddito per cui non il versamento di acconti non risulta necessario anzi genererebbe ogni anno un credito per eccesso di versamento delle imposte al 21% sulla locazione breve. Questa operazione di azzeramento è automaticamente effettuata nei modelli di dichiarazione ovviamente se l’intero reddito prodotto ha subito la citata trattenute. Niente acconti come da istruzioni Come indicato nell’allegato C denominato “circolare per la liquidazione ed il controllo del modello 730/2025”, documento contenuto tra le specifiche tecniche per la trasmissione telematica della dichiarazione, il rigo 81 del prospetto, ovvero quello che determina una differenza sulla cedolare secca dovuta, ammontare su cui si generano gli acconti, deve essere determinato come sottrazione tra il rigo 80 quello che stabilisce l’ammontare effettivo della tassa piatta da corrispondere per l’anno e quanto esposto nel rigo F8 del modello. Il rigo F8 citato è la casella del 730 in cui va indicato l’importo delle ritenute riportato nel quadro certificazione redditi – locazioni brevi della certificazione unica 2025 per cui, in caso di reddito “da locazione breve” completamente assoggettato a ritenuta del 21%, non si genera la differenza nel rigo 81 del prospetto di liquidazione e conseguentemente gli acconti nel rigo 100 e 101. Niente acconti solo con un solo immobile Niente acconti solo in caso di un solo immobile utilizzato per locazioni brevi. Ai sensi dell’articolo 4 comma 4 del dl 50/2017 (articolo che disciplina il regime fiscale delle locazioni brevi) i soggetti residenti nel territorio dello Stato che esercitano attività di intermediazione immobiliare, nonché quelli che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in ricerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare, qualora incassino i canoni o i corrispettivi relativi ai c.d. fitti brevi, ovvero qualora intervengano nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi, operano, in qualità di sostituti d'imposta, una ritenuta, a titolo d'acconto del 21% sull'ammontare dei canoni e corrispettivi all'atto del pagamento al beneficiario e provvedono al relativo versamento. Con l’articolo 1 comma 63 della legge di bilancio 2024 (legge 213/2023) è stato modificato l’articolo 4 comma 2 del decreto legge 50/2017 incrementando dal 21% al 26%, l’aliquota dell’imposta sostitutiva dovuta sui redditi derivanti dai contratti di locazione di immobili a uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni. L'aliquota al 26% e la coesistenza con quella al 21% La norma concede comunque la possibilità per i (pluri)locatori di applicare l’aliquota ora divenuta “ridotta” al 21% sul reddito derivante dalla locazione breve di un immobile a sua scelta da individuare nella dichiarazione dei redditi. Tale incremento non è stato a cascata applicato anche per la ritenuta che diventa quindi da “a titolo d’imposta” a “a titolo d’acconto”. In caso di plurilocazioni quindi vi sarà potenzialmente la concorrenza di redditi soggetti a cedolare secca del 21% e redditi al 26%. Tale differenziazione in caso di locazioni brevi sempre solo tramite Ota genererà una differenza tra cedolare dovuta (nel rigo 80) e trattenuta nel rigo F8, con automatica emersione di una differenza di imposta da versare nel rigo 81 e correlati acconti dovuti nel rigo 100 e 101. (riproduzione riservata)
- Contratto di affitto
Come funziona. Stai cercando una nuova abitazione, ma preferiresti l’affitto e non sai come comportarti? Hai appena avuto in eredità (o acquistato) un appartamento e vorresti “metterlo a reddito” affittandolo a un inquilino? Le informazioni che dovresti avere, sia come futuro inquilino sia come futuro locatore sono moltissime. E non sempre è possibile trovare spiegazioni chiare e dirette su come funziona un contratto di locazione e tutte le varie implicazioni che esso comporta. Nei prossimi paragrafi ti diremo tutto quello che c’è da sapere sul mondo degli affitti. Ti aiuteremo a capire chi può stipulare un contratto di affitto, come si fa un contratto di affitto, quali sono le tipologie esistenti e quante tasse dovrai pagare. Se, invece, sei un affittuario, ti indicheremo con chiarezza quali sono le detrazioni sull’affitto per pagare meno tasse. Insomma, una guida completa sul contratto di affitto, con concetti spiegati in maniera chiara e dettagliata, senza troppi tecnicismi o giri di parole. Contratto di locazione: tra chi si stipula I protagonisti del contratto di locazione sono sostanzialmente due: il locatore, ossia il proprietario dell’immobile, e il conduttore, ossia l’inquilino dell’abitazione. In questo rapporto a due può talora inserirsi anche una figura terza, quella dell’agenzia immobiliare, alla quale il proprietario può affidare il suo immobile con l’obiettivo di trovare un inquilino e occuparsi dell’intera parte burocratica. Come stipulare un contratto di affitto: le informazioni principali Il contratto di locazione è un accordo con il quale il proprietario di un immobile si impegna a garantire il godimento dell’immobile a favore di un altro soggetto – l’affittuario o conduttore – dietro pagamento di un determinato corrispettivo economico, detto canone di affitto. La legge stabilisce che nel contratto di affitto devono essere inclusi sia i dati delle due parti interessate – il locatore e il conduttore – sia i dati dell’immobile. Così, oltre alla generalità del proprietario e dell’affittuario, un contratto di locazione dovrà contenere i dati catastali dell’immobile, una sua descrizione accurata, l’ammontare del canone di affitto e le modalità di versamento e la durata del contratto stesso. Non deve poi mancare una dichiarazione con la quale l’affittuario afferma di aver ricevuto tutta la documentazione relativa all’immobile, inclusa l’attestazione di prestazione energetica. La stipula del contratto può avvenire sia in forma diretta tra i due privati, sia affidandosi a professionisti o aziende del settore. Se ti stai chiedendo come fare il contratto di affitto, dovresti sapere che online puoi trovare diversi modelli di contratto di locazione da utilizzare all’evenienza. Alcuni di questi sono presenti sul sito dell’Agenzia delle entrate, che fornisce tutti i dettagli e le istruzioni per la compilazione e la successiva registrazione. Contratto di locazione: tutte le tipologie Come potrai facilmente immaginare, non esiste un contratto di affitto unico, che puoi utilizzare in tutte le occasioni. La legislazione italiana prevede infatti diversi modelli di contratto di affitto, differenziati in base al rapporto che si instaura tra proprietario e affittuario. Tra le varie tipologie disponibili, le più utilizzate sono cinque: canone libero, canone concordato, transitorio, studenti e cedolare secca. Le differenze spaziano dalla durata alla tassazione, passando per le modalità di determinazione del canone. Contratto di affitto a canone libero: come funziona Conosciuto anche come contratto 4+4, si tratta della tipologia più utilizzata. Il canone viene determinato da proprietario e affittuario senza che ci siano vincoli legislativi da considerare e ha una durata di quattro anni prorogabili di altri quattro anni (salvo che intervenga la disdetta di una delle due parti) e può prevedere diverse clausole o elementi accessori (ad esempio, l’adeguamento del canone agli indici Istat). Contratto di affitto a canone concordato: come funziona Conosciuto anche come contratto 3+2, prevede diversi vincoli alla determinazione del canone di affitto, solitamente più basso rispetto ai prezzi di mercato. Una tipologia di contratto di locazione che favorisce tanto gli inquilini quanto i proprietari. I primi pagheranno un affitto mensile più basso rispetto a quello di un canone libero, mentre i proprietari godranno di diversi sgravi fiscali. La durata è di 3 anni, prorogabili di 2 a meno che intervenga la disdetta di una delle due parti. Contratto di affitto transitorio: le caratteristiche Può avere una durata da un minimo di 1 mese a un massimo di 18 mesi e si ritiene concluso alla sua scadenza. La legge prevede una deroga alla durata massima, ma deve essere adeguatamente giustificata onde incorrere in sanzioni. Il canone viene determinato in base a massimi stabiliti in accordi territoriali. Contratto di affitto a studenti universitari: come funziona Pensato appositamente per gli studenti fuori sede, ha una durata da un minimo di 6 mesi a un massimo di 3 anni, rinnovabili automaticamente alla prima scadenza con una durata pari a quella originaria. Anche in questo caso, il canone non può superare dei massimali stabiliti con accordi territoriali. Il contratto può essere sottoscritto da un unico studente o da più studenti, che abbiano nella città di domicilio la sede dell’università, o dei corsi universitari distaccati e di specializzazione, o di istituti di istruzione superiore. Contratto di affitto con cedolare secca: come funziona Il contratto con cedolare secca prevede una tassazione agevolata per il proprietario dell’immobile, che si troverà a pagare una tassazione pari al 21% o 10 %del canone di affitto. Questo consentirà solitamente di ottenere un canone più basso rispetto a quello di mercato e non subirà variazioni o adeguamenti per tutta la durata del contratto. La cedolare secca può essere applicata alle altre tipologie di contratto viste sinora, determinandone così la durata. Un contratto a canone libero con cedolare secca avrà così una durata di 4 anni prorogabili di altri 4, mentre un contratto a canone concordato avrà una durata di 3 anni prorogabili di 2 anni. Come si registra un contratto di locazione Indipendentemente dalla tipologia scelta, tutti i contratti di locazione vanno obbligatoriamente registrati presso l’Agenzia delle entrate che fornisce i moduli in base al regime fiscale che si sceglie. In fase di registrazione, il proprietario dell’immobile dovrà versare l’imposta di bollo per l’intera annualità o l’intera durata del contratto di affitto. Ovviamente, all’Agenzia delle entrate andrà comunicato anche l’eventuale rinnovo dell’accordo e, contestualmente, versata l’imposta di bollo per l’intera annualità o l’intero periodo. Nel caso in cui il contratto non dovesse essere registrato, la normativa stabilisce che l’accordo sottoscritto da locatore e locatario non è valido ai fini di legge. Quanto dura un contratto di affitto L’articolo 1573 del Codice civile stabilisce che la durata del contratto di affitto non può essere superiore ai 30 anni. Una disposizione di legge che ha, ormai, un’importanza residuale dato che il legislatore è intervenuto in più occasioni per dettare diversi criteri che concorrono a stabilire la durata del contratto d’affitto. Secondo la legge 392 del 1978 (poi integrata con la legge 431 del 1998), la durata di un contratto di affitto di un immobile urbano non può essere inferiore a 4 anni. Se, però, le parti concordano nello stipulare un contratto con canone concordato o calmierato, la durata minima scende a 3 anni. In soldoni, la durata del contratto di locazione dipende dalla tipologia che si sceglie. Può variare da una manciata di giorni – contratto turistico – a un massimo di 4 anni– contratto a canone libero. Gli accordi possono poi essere rinnovati sia in maniera tacita/automatica, sia in seguito a una nuova contrattazione tra le parti. Contratto di locazione: la tassazione La tipologia di contratto scelto determina anche le tasse che si pagano sull’affitto. Come abbiamo velocemente visto in precedenza, infatti, l’ordinamento giuridico italiano prevede diverse agevolazioni fiscali per i proprietari che optano per canoni di affitto calmierati (o più bassi del valore di mercato), così da agevolare anche gli inquilini. Se si sceglie il contratto con canone libero, il reddito generato dai canoni di locazione (ridotto forfettariamente del 5%) concorre a determinare l’imponibile Irpef sul quale pagare le tasse. Se, ad esempio, l’affitto annuale di un appartamento in locazione è di 5.000 euro, l’imponibile Irpef aumenterà di 4.750 euro. Scegliendo un contratto a canone concordato, invece, si godrà di alcuni sgravi fiscali. La riduzione forfettaria passa dal 5% al 30% e sarà possibile portare in detrazione dalle tasse il 5% del valore del canone annuo. Nell’esempio precedente, l’imponibile Irpef aumenta di 3.500 euro e, contemporaneamente, sarà possibile ottenere una detrazione fiscale di 250 euro. Nel contratto con cedolare secca, invece, la tassazione è del 21% (per contratti a canone libero) o del 10% (per contratti a canone concordato) ed è sostitutiva dell’Irpef, delle addizionali regionali e comunali, e delle tasse di registro e bollo. Questo vuol dire che si pagherà una tassa proporzionale al canone annuo, senza però incidere sull’imponibile Irpef. Le imposte da pagare sull’affitto non sono solamente quelle legate al canone di affitto. Va infatti considerata anche l’imposta di bollo e l’imposta di registro da pagare all’atto di registrazione del contratto. La prima è parametrata sul canone annuale (apri al 2% del canone con un minimo di 67,00 euro); la seconda dipende dal numero di pagine del contratto (con un minimo di 32,00 euro). Detrazioni fiscali per chi vive in affitto Se abiti in affitto, puoi godere di diverse agevolazioni e detrazioni fiscali che renderanno più leggero il canone di affitto mensile (a patto, ovviamente, che il contratto sia regolarmente registrato presso l’Agenzia delle entrate). Le detrazioni sono previste per tutte le tipologie di contratto per abitazione principale a patto che l’affittuario (o il nucleo familiare) abbia un reddito complessivo inferiore a 30.987,41 euro. Le detrazioni per l’affitto non sono cumulabili tra loro, ma il contribuente ha la facoltà di scegliere quella a lui più conveniente. Nello specifico, l’ordinamento fiscale italiano prevede: Detrazioni per gli inquilini di alloggi adibiti ad abitazione principale. Variano tra 300 euro e 150 euro a seconda del reddito complessivo familiare; Detrazioni per gli inquilini di alloggi adibiti ad abitazione principale locati con contratti in regime convenzionale. Detrazione di 495,80 euro se il reddito complessivo è inferiore a 15.493,71 euro, 247,90 euro se il reddito complessivo è compreso tra 15.493,71 euro e 30.987,41 euro; Detrazione per canoni di locazione spettante ai giovani di età compresa fra i 20 e i 31 anni non compiuti per l’abitazione principale. Detrazione pari al 20% del contratto di affitto (ma non superiore a 2.000 euro) se il reddito complessivo è inferiore a 15.493,71 euro Detrazione per lavoratori dipendenti che trasferiscono la residenza per motivi di lavoro. Detrazione di 991,60 euro se il reddito complessivo è inferiore a 15.493,71 euro; 495,80 euro se il reddito è compreso tra 1 5.493,71 euro ma non superiore a 30.987,41 euro. Come disdire un contratto di affitto Il contratto d’affitto è ancora in essere ma tu vorresti recedere? La legge ti concede questa possibilità, a patto che ci siano motivi tali per cui ti sia impossibile continuare a vivere nell’appartamento o nell’abitazione che hai affittato. Tali motivi, come vedremo in dettaglio tra poco, possono essere sia di natura oggettiva sia di natura soggettiva. Per poter disdire il contratto di affitto devono sussistere dei gravi motivi che impediscono al locatario di dare continuità al contratto sottoscritto. Come stabilito anche dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 12291 del 30 maggio 2014, questi motivi devono: essere indipendenti dalla sua volontà e imprevedibili; successivi alla data di sottoscrizione del contratto; portare alla formazione di una condizione che renda insostenibile la permanenza nell’abitazione. I gravi motivi possono essere, ad esempio, di natura economica o professionale. Nel caso in cui dovessi perdere il lavoro e l’affitto diventa troppo caro, puoi avviare la pratica per la risoluzione del contratto senza che il proprietario possa rivalersi. Lo stesso ragionamento è valido nel caso trovi un nuovo lavoro lontano da dove abiti o se vieni trasferito lontano da casa. Tra i gravi motivi rientrano, ovviamente, anche problemi di salute di una certa entità o la crescita inaspettata del nucleo familiare. Se vivi in un monolocale e la tua famiglia è destinata presto ad allargarsi, difficilmente riuscirai a continuare a viverci. Se, invece, dovessi avere problemi di mobilità e l’appartamento ha varie barriere architettoniche, non potrai ovviamente continuare ad abitarci. Nel caso dovessi trovarti in una di queste situazioni – o nelle molte altre che possono configurarsi come motivi gravi – potrai disdire il contratto di affitto senza timore di strascichi legali. Prima di avviare la pratica, però, consigliamo fortemente di parlare con il tuo padrone di casa per trovare una risoluzione bonaria, spiegando le valide ragioni che ti spingono ad abbandonare l’abitazione. Fatto questo passaggio, potrai dare avvio all’iter burocratico per disdire il contratto. Prima di tutto, dovrai comunicare al locatore l’intenzione di recedere anticipatamente attraverso una raccomandata con ricevuta di ritorno. All’interno della lettera dovrai comunicare solo l’intenzione di disdetta e la data entro la quale abbandonerai l’appartamento (come detto, solitamente il preavviso è di 6 mesi). Successivamente, dovrai pagare l’imposta di bollo di 67 euro attraverso il modello F24 Elide. Contemporaneamente, dovrai presentare all’Agenzia delle entrate il modello Rli (per via telematica o cartacea) per comunicare la risoluzione anticipata del contratto di affitto precedentemente registrato. © Riproduzione Riservata
- Imposta di soggiorno e affitti brevi, invii al 30 giugno
All’amministrazione finanziaria la dichiarazione per l’imposta e la comunicazione per i contratti di locazione (rilasciato il nuovo software). Si avvicina il 30 giugno con due importanti scadenze fiscali per le attività turistiche: l’imposta di soggiorno e i contratti di locazione breve si aggiungono alle numerose scadenze del Tax Day. Nel portale dei servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate è stata appena aggiornata all’anno d’imposta 2024 l’applicazione web per la Dichiarazione annuale dell’imposta di soggiorno, mentre per la Comunicazione dei contratti di locazione breve (modello CLB) è stata appena rilasciata la versione 2.0.0 del software, che prevede anche il codice turistico CIN, come previsto dalla legge di bilancio 2025. Ambiti di applicazione e sanzioni previste La dichiarazione imposta di soggiorno va presentata entro il 30 giugno da tutti i titolari di strutture ricettive alberghiere, extralberghiere, a cielo aperto, e dai titolari di locazioni turistiche e brevi. Sono inoltre obbligati alla presentazione della dichiarazione tutti gli intermediari turistici (agenti immobiliari, property manager, piattaforme e portali OTA) che gestiscono pagamenti per conto dei titolari, diventando così anche loro responsabili d’imposta. Diversi i soggetti tenuti a presentare il modello CLB, previsto dal DL 50/2017 (legge Airbnb) per i soli intermediari che non riscuotono pagamenti, ma che sono a conoscenza di tutte le informazioni sulle prenotazioni e sui beneficiari dei pagamenti. Siti vetrina, market place, community ed altri, obbligati dal Fisco a fornire tutte le informazioni in loro possesso, utili anche ad associare i redditi al singolo immobile, consentendo l’applicazione della cedolare secca al 26% prevista per tutti gli immobili in locazione breve o turistica dalla seconda unità in poi. Per la dichiarazione dell’imposta di soggiorno, le sanzioni per la mancata presentazione vanno dal 100% al 200% dell’imposta annuale. Proprio in queste ore sta per essere definita la sanzione minima nello schema di decreto legislativo di riordino dei tributi comunali che verrà approvato nel prossimo Consiglio dei ministri. L’omessa, incompleta o infedele comunicazione del modello CLB locazioni brevi è punita con una sanzione da 250 a 2.000 euro. Compliance incerta e accertamenti in arrivo Il confronto sull’imposta di soggiorno fra il MEF e l’ANCI (attraverso la sua fondazione IFEL), partito nel 2023 dal tema dell’abolizione del vecchio modello 21 di dichiarazione annuale comunale, è arrivato presto a mettere in dubbio la stessa legittimità delle dichiarazioni periodiche dell’imposta di soggiorno previste dai regolamenti comunali. Le due istituzioni hanno ancora oggi visioni diametralmente opposte e ciò comporta poca chiarezza e rischi per gli operatori, come avvenuto recentemente a Bologna, dove centinaia di strutture sono state sanzionate dal comune per mancata presentazione anche a zero delle comunicazioni periodiche che, a rigore secondo la Risoluzione 1/2023 del MEF non sarebbero dovute. Si segnalano dei progressi verso l’unificazione dei formati: già molti piccoli comuni, soprattutto nel centro Italia, stanno rinunciando alle loro comunicazioni comunali sull’imposta di soggiorno, prescrivendo solo la dichiarazione annuale all’Agenzia delle Entrate. Abbondanti i dati sulle attività turistiche in possesso del Fisco: a quelli del modello CLB, della certificazione CU locazioni brevi e ai dati forniti dalle piattaforme digitali con il DAC7, si aggiungono i dati condivisi dai maggiori portali turistici in occasione delle recenti transazioni con l’Agenzia delle Entrate all’esito della vicenda delle omesse ritenute al 21%. I dati reddituali storici vengono utilizzati nell'ambito delle nuove iniziative congiunte di Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza per il contrasto di specifiche fattispecie di evasione fiscale di strutture ricettive e locazioni turistiche. Riproduzione riservata
- Affitti brevi, Airbnb lancia un appello all’Ue «l’overtourism è guidato principalmente dagli hotel»
Secondo il rapporto “Overtourism nell'UE”, basato su dati ufficiali di Eurostat e dell'Organizzazione Mondiale del Turismo, l'overtourism nell'UE è guidato principalmente dagli hotel Airbnb ha lanciato un appello alle amministrazioni cittadine per affrontare l'“impatto schiacciante” degli hotel sull'overtourism nelle dieci capitali più visitate dell'Unione Europea. Secondo il rapporto “Overtourism nell'UE” , basato su dati ufficiali di Eurostat e dell'Organizzazione Mondiale del Turismo, l'overtourism nell'UE è guidato principalmente dagli hotel, che hanno rappresentato quasi l'80% dei pernottamenti nel 2023 e nel 2024. Tra il 2021 e il 2023, i pernottamenti nelle dieci città più visitate dell'Europa sono aumentati di oltre 200 milioni, con gli hotel responsabili del 75% di questa crescita. La concentrazione turistica nei centri città Airbnb sottolinea che gli hotel si concentrano quasi esclusivamente nei centri città. Ad esempio, il centro di Amsterdam ha 15 volte più camere d'hotel rispetto agli annunci su Airbnb. Solo nel 2024 sono state aperte quasi 40.000 camere d'hotel in Europa, e alla fine dell'anno erano in fase di costruzione o pianificazione circa 250.000 camere. Il ruolo di Airbnb nella dispersione del turismo Airbnb viene scelta proprio per evitare le trappole turistiche e scoprire nuove destinazioni. Nel 2024, le notti trascorse dagli ospiti su Airbnb nell'UE sono aumentate più rapidamente nelle località al di fuori delle città rispetto a quelle all'interno dei centri urbani. In totale, nelle principali dieci città europee nel 2024, oltre 260.000 ospiti Airbnb hanno soggiornato in quartieri privi di hotel. I soggiorni Airbnb nei quartieri senza hotel sono aumentati di circa il 60% tra il 2022 e il 2024. L'effetto delle restrizioni sugli affitti brevi Il rapporto evidenzia che l'overtourism sta peggiorando dove Airbnb è limitato. Dopo l'introduzione di restrizioni sugli affitti brevi ad Amsterdam e Barcellona nel 2018, il numero di pernottamenti ha continuato a crescere. Entro il 2024, i pernottamenti sono aumentati di 2,4 milioni ad Amsterdam e di 4,8 milioni a Barcellona. Benefici economici per le comunità locali Oltre a offrire un'alternativa al turismo di massa guidato dagli hotel, Airbnb aiuta le famiglie a sostenere le spese della propria casa e supporta le comunità locali. Quando gli ospiti soggiornano in hotel, spendono principalmente negli hotel stessi. Per ogni dollaro speso su Airbnb nell'UE, gli ospiti spendono in media 2,50 dollari nella comunità locale. Solo nel 2024, in Francia, Germania, Italia e Spagna, il turismo generato da Airbnb ha contribuito con un totale di 44,6 miliardi di dollari al PIL e ha sostenuto 627.000 posti di lavoro. Airbnb invita i leader a guardare oltre gli hotel e ad accogliere un turismo che supporti le famiglie e le comunità locali. «Quando gli ospiti soggiornano negli Airbnb scoprono nuove comunità, aiutano le famiglie a sostenere i costi della casa e supportano le imprese locali», ha dichiarato Theo Yedinsky, Vicepresidente delle Politiche Pubbliche di Airbnb.
- Immobili, si semplifica la qualificazione di stato legittimo
Uno studio del Notariato analizza l’impatto del decreto salva-casa. Con il decreto salva-casa si semplifica la qualificazione di stato legittimo dell’immobile, cioè la condizione di conformità urbanistica ed edilizia di un immobile. Fino al 2024, lo stato legittimo doveva essere dimostrato cumulando tutti i titoli edilizi che avevano interessato l’immobile: quello originario (che ne autorizzava la costruzione), quello che disciplinava l’ultimo intervento sull’intera unità e gli eventuali titoli parziali. Con la riforma, questa impostazione viene semplificata: ora è possibile dimostrare lo stato legittimo o con il titolo abilitativo originario oppure con l’ultimo titolo rilasciato che ha interessato l’intero immobile, purché l’amministrazione abbia verificato la legittimità dei titoli precedenti. Lo Studio n. 225-2024/P del Consiglio nazionale del Notariato affronta in modo articolato e tecnico le novità introdotte dal decreto legge 69/2024, convertito nella legge 105/2024, che ha modificato il Testo Unico dell’Edilizia (TUE), con riferimento all'art. 9 bis, in tema di stato legittimo degli immobili. Valutazione dello stato illegittimo Lo stato legittimo può essere determinato in via alternativa sulla base del titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa ovvero del titolo rilasciato che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o l'intera unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. La dichiarazione dello stato legittimo di un immobile non esclude la sussistenza degli obblighi formali di menzione disciplinati dalla legge. Scopo della riforma La riforma ha lo scopo di rispondere alla crescente domanda abitativa, di favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente, nonché di rimuovere ostacoli che spesso rallentano o impediscono la circolazione immobiliare (errori grafici o difformità lievi nelle rappresentazioni catastali) e generano incertezze giuridiche e ritardi nelle compravendite o nelle ristrutturazioni. Il Legislatore mira a semplificare ed alleggerire il carico amministrativo sulle amministrazioni comunali, in particolare per la verifica dello stato legittimo degli immobili, soprattutto quelli più datati. La responsabilità della P.A. Un altro punto centrale del documento è il ruolo della P.A. che ha l’obbligo di acquisire d’ufficio i documenti in suo possesso, senza chiederli nuovamente al cittadino. Questo principio, noto come “decertificazione”, è stato ribadito anche nel nuovo quadro normativo edilizio. Nonostante ciò, nella prassi, le amministrazioni continuano spesso a comportarsi come enti chiusi e autonomi, non collaborativi, con inefficienze che si scaricano sui cittadini, costretti a colmare lacune documentali non spettanti a loro. Un principio fondamentale La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 217/2022, ha chiarito che la definizione di stato legittimo è un principio fondamentale dell’ordinamento edilizio nazionale. Le Regioni non possono derogare introducendo definizioni autonome che ne snaturano il significato: infatti, la Corte ha bocciato norme regionali che tentavano di fondare lo stato legittimo sul solo certificato di agibilità, senza riferimento ai titoli abilitativi. Lo Studio si è soffermato anche sulla nozione di “immobile” o “unità immobiliare” nel contesto del TUE: si tratta di beni che sono stati oggetto di intervento edilizio legittimo, a prescindere dalla loro classificazione catastale o dalla possibilità di essere venduti separatamente. Semplificazione sostanziale Il documento conclude sottolineando l’importanza della semplificazione sostanziale e formale apportata dalla riforma, che punta ad alleggerire la burocrazia, favorire la regolarizzazione degli immobili anche in caso di difformità minori, e rafforzare la certezza del diritto, soprattutto nella circolazione dei beni immobili. Tuttavia, per essere davvero efficace, la riforma deve accompagnarsi a una maggiore efficienza della macchina amministrativa: senza un cambiamento della mentalità e dell’organizzazione della P.A. anche una valida riforma rischia di diventare inefficace nella pratica. (riproduzione riservata)
- Legge 104
A chi è rivolta e come funziona. Approvata il 5 febbraio del 1992 ed entrata in vigore il 18 febbraio dello stesso anno, la Legge 104/92 è una normativa che contiene disposizioni in materia di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone con disabilità. Una legge che negli anni ha subito diverse modifiche (l’ultima nel 2023), mantenendo lo stesso impianto: aiutare le persone con difficoltà fisiche e le loro famiglie ad affrontare al meglio la vita di tutti i giorni. La normativa ha lo scopo di definire cosa si intende per persona con gravi disabilità, quali sono le modalità per riconoscere la disabilità e tutte le agevolazioni a cui ha diritto. Agevolazioni (come, ad esempio, i permessi Legge 104) a cui accedono anche i familiari della persona disabile (fino al terzo grado di parentela) o chi ne fa da tutore legale. Per ottenere il riconoscimento della disabilità e le agevolazioni previste dalla Legge 104 è necessario seguire un iter ben preciso e abbastanza lungo. Bisogna presentare domanda all’Inps, effettuare una visita medica all’Asl con una com missione che giudica lo stato psico-fisico della persona e aspettare il responso. Solo dopo l’accertamento della disabilità è possibile richiedere le varie agevolazioni, come ad esempio i permessi della Legge 104 che consentono di assentarsi dal lavoro per un massimo di due ore al giorno o per un massimo di tre giorni in un mese. Vediamo cosa c’è da sapere sulla Legge 104 e sui permessi, sul come presentare la do manda e quali sono le agevolazioni riservate alle persone a cui è stata accertata la non autosufficienza. Che cosa è la Legge 104 e quali sono le finalità La Legge 104 è una normativa quadro approvata nel 1992 (modificata più volte dal legislatore per attuare quanto previsto dalle direttive europee in materia e per adattarla alle nuove esigenze) in materia di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone con disabilità. L’obiettivo di questa legge è di garantire la dignità delle persone con disabilità e di rimuovere gli ostacoli che possano precludere il benessere di queste persone. Per farlo, il legislatore ha previsto una serie di agevolazioni che vanno dalla possibilità di richiedere permessi retribuiti dal lavoro (i famosi permessi Legge 104) fino a sgravi economici e deduzioni per l’acquisto di medicinali o per l’acquisto di apparecchi elettronici, auto, protesi e ausili che possono migliorare la vita delle persone con disabilità. Le agevolazioni possono essere richieste sia dalla persona a cui è stata riconosciuta la disabilità fisica, sia dai familiari che se ne prendono cura. Chi può richiedere la Legge 104 Chi può usufruire della Legge 104? Quali sono le persone che possono richiedere l’accertamento della disabilità fisica? Per dare una definizione precisa viene in aiuto l’articolo 3 della Legge 104, in cui il legislatore delimita il campo di applicazione della norma: “È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”. Inoltre, il comma 4 dello stesso articolo aggiunge che “La presente legge si applica anche agli stranieri e agli apolidi, residenti, domiciliati o aventi stabile dimora nel territorio nazionale. Le relative prestazioni sono corrisposte nei limiti ed alle condizioni previste dalla vigente legislazione o da accordi internazionali.” Una definizione chiara e che estende l’applicazione della norma anche agli stranieri domiciliati in Italia e che possono accedere a tutti i servizi e le agevolazioni. Cosa fare per ottenere l’accertamento della disabilità e accedere alle agevolazioni della Legge 104? I requisiti per accedere alla Legge 104 L’iter per il riconoscimento di una disabilità fisica o psichica è abbastanza lungo, ma parte da un fondamento ben preciso: la presenza di una qualsiasi forma di disabilità che rende difficoltosa l’integrazione nella società e sul posto di lavoro. Per il riconoscimento della disabilità ai sensi della Legge 104 sono necessari certificati medici che atte stino la disabilità in tutte le sue forme: difficoltà motorie, difficoltà sensoriali oppure disturbi della personalità. Non sono previsti dei requisiti di tipo economico (ad esempio una soglia massima di reddito da non superare), oppure limiti di età. La Legge 104 può essere richiesta da qualsiasi persona: l’unico requisito è il riconoscimento tramite certificati medici di una disabilità più o meno grave. Per i casi in cui è necessaria un’assistenza continua, il legislatore ha previsto delle agevolazioni ad hoc sia per la persona sia per i familiari che la assistono. Legge 104: come presentare la domanda Per l’ottenimento dei permessi della 104 o delle agevolazioni connesse alla norma, è necessario l’accertamento dello stato di handicap da parte di un’apposita commissione medica indipendente dell’Asl. Quali sono i passaggi da seguire per presentare la domanda? In primis è necessario rivolgersi al proprio medico curante per la realizzazione di un primo certificato introduttivo seguendo il modello predisposto dal legislatore. In questo documento il medico deve elencare tutte le patologie della persona e inviarlo telematicamente sul portale dell’Inps e al patronato. Completato lo step iniziale, la persona deve presentare la domanda per l’accertamento della disabilità sul sito dell’Inps nella sezione “Invio OnLine di Domande di Prestazioni a Sostegno del Reddito”. Se non si riesce a completare l’operazione, ci si può far aiutare dal patronato oppure telefonare al Contact Center dell’Inps che guiderà la persona nella presentazione della richiesta. Entro 30 giorni dall’inoltro della domanda, si viene contattati dall’Inps per la visita presso la commissione medica della ASL. Per le patologie più gravi i tempi di attesa si dimezzano a 15 giorni. La commissione medica è chiamata a valutare le condizioni fisiche della persona e ad accertare la disabilità analizzando il certificato medico redatto dal medico curante e tutta la documentazione accumulata negli anni che certifica la presenza di malattie in validanti. La commissione può decidere sia di accettare sia di rifiutare il riconoscimento della disabilità e, in caso di esito positivo, il riconoscimento dell’handicap può essere: • definitivo, senza la necessità di ulteriori visite in futuro che accertino di anno in anno la presenza della disabilità; • transitorio, con l’obbligo di una nuova perizia medica dopo un certo tempo. La risposta della commissione medica è prevista entro un massimo di 90 giorni. Ricapitolando, l’iter per l’accertamento della disabilità prevede quattro fasi ben distinte: • Redazione da parte del medico curante di un certificato medico introduttivo in cui vengono elencate tutte le patologie. • Inoltro della domanda all’Inps sia da parte del medico curante sia della persona interessata (o del suo tutore). • Visita medica presso la commissione dell’Asl. • Risposta entro 90 giorni. Quali sono le agevolazioni delle Legge 104 Una volta ottenuto il riconoscimento della disabilità fisica, è possibile richiedere le agevolazioni predisposte dal legislatore per rimuovere qualsiasi ostacolo all’integrazio ne sociale. Ostacoli sia sul luogo di lavoro che in ambito scolastico. Le agevolazioni sono soprattutto di natura economica e riguardano detrazioni o sgravi fiscali. Ad esempio, è prevista l’Iva agevolata al 4% per l’acquisto di supporti tecnici o informatici come modem, computer, smartphone, dispositivi per la domotica e la smart home. Per l’acquisto di automobili e più in generale di veicoli utilizzati per lo spostamento della persona disabile l’agevolazione è ancora maggiore: • Iva agevolata al 4%. • Esenzione del pagamento dell’imposta di bollo. • Detrazione fiscale del 19% fino a un importo massimo di 18.075,99 euro. • Esenzione dell’imposta di trascrizione sui passaggi di proprietà. Questo tipo di agevolazione è rivolta alle persone con un handicap fisico riconosciuto, che ricevono l’indennità di accompagnamento e hanno problemi di deambulazione (non riescono a camminare autonomamente e hanno bisogno di un supporto). Capitolo a parte per quanto riguarda le agevolazioni mediche. È possibile dedurre dalle proprie tasse tutte le spese effettuate per le visite mediche (di qualsiasi natura) e le spese per l’assistenza specifica, come ad esempio infermieri, OSS, personale medico, fisioterapisti). La deduzione delle spese mediche può essere richiesta dalla persona con disabilità o da un suo familiare. In caso di figli a carico con disabilità, l’importo dell’assegno unico è maggiorato per sostenere qualsiasi tipologia di spesa. Quali sono i permessi previsti dalla Legge 104 Tra le agevolazioni concesse dal legislatore ci sono anche i permessi Legge 104. Di che cosa si tratta? Sono dei permessi retribuiti che permettono alla persona disabile o a un familiare che se ne prende cura di astenersi dal lavoro senza perdere parte dello stipendio. Per quanto riguarda i familiari, possono richiedere il permesso 104 i parenti fino al secondo grado, oppure fino al terzo grado nel caso in cui i genitori o il coniuge della persona disabile abbiano compiuto i sessantacinque anni di età e siano affetti anche loro da disabilità (o siano deceduti). Inoltre, grazie alla Legge Cirinnà del 2016 si è equiparata la figura del convivente a quella dei parenti prossimi. In cosa consistono i permessi della Legge 104? Nella possibilità di astenersi per una o due ore al giorno dal lavoro, oppure per un massimo di tre giorni in un mese (frazionabili anche in singole ore). Inoltre, per i genitori con bambini fino ai tre anni a cui è stata riconosciuta la disabilità, il congedo parentale può essere prolungato (con un’indennità pari al 30% della propria retribuzione). Per ottenere l’astensione dal lavo ro è necessario essere dei lavoratori dipendenti (non si applica alle partite IVA), anche part-time e iscritti all’Inps. I permessi 104 permettono di astenersi dal lavoro per: • una o due ore al giorno. • Massimo 3 giorni in un mese (frazionabili in singole ore). • Prolungamento del congedo parentale fino ai tre anni per chi ha figli con disabilità. Come richiedere i permessi della Legge 104 Per ottenere le agevolazioni della Legge 104, compresi i permessi dal lavoro, è necessario presentare apposita domanda tramite il portale dell’Inps. In caso di difficoltà, è possibile farsi aiutare dal patronato oppure contattare il Contact Center dell’INPS. È necessario avvisare con anticipo il proprio datore di lavoro della richiesta di astensione dal lavoro per il permesso Legge 104? In teoria no. Il legislatore non ha previsto nessun obbligo da parte della persona disabile o del familiare che se ne occupa di avvisare il proprio datore del lavoro con anticipo. In genere, però, è consigliabile trovare un accordo in modo da non arrecare troppi danni all’azienda e non bloccare il lavoro dei colleghi. Inoltre, le persone con disabilità e i loro familiari hanno la priorità nella scelta della sede di lavoro e possono rifiutare qualsiasi spostamento coatto, di lavorare di notte o nei giorni festivi. Cosa è il Congedo straordinario Oltre ai permessi 104, è possibile richiedere anche un congedo straordinario fino a un massimo di due anni nelle situazioni di grave disabilità. Il permesso può essere richiesto anche dal familiare che assiste la persona a cui è stato riconosciuto l’handicap. In che cosa consiste il congedo straordinario? In un’astensione dal lavoro per un massimo di due anni, nel corso dei quali la persona conserva il proprio posto di lavoro, ma non ha diritto alla retribuzione, bensì a un’indennità pagata direttamente dall’INPS. La domanda per il congedo straordinario, corredata di tutta la documentazione necessaria, va presentata telematicamente sul portale dell’INPS. A fini pensionistici, questo periodo di congedo viene coperto da contributi figurativi. I due anni di congedo straordinario possono anche essere frazionati in giorni. Legge 104: quando si riceve l’indennità di accompagnamento Avere il riconoscimento dell’invalidità tramite la Legge 104 non equivale a riceve re l’indennità di accompagnamento. Questa agevolazione economica che prevede un assegno mensile di circa 530 euro al mese è riconosciuta solamente a coloro che sono invalidi al 100% e non sono autosufficienti. Nel caso in cui non venga riconosciuta la non autosufficienza non è possibile ottenere il sostegno economico. Discorso completamente diverso per quanto riguarda l’invalidità civile. Questa prestazione economica è riconosciuta a coloro che per un deficit fisico sono inabili al lavoro o hanno oggettive difficoltà. L’assegno per l’invalidità civile è riconosciuto a coloro che hanno una disabilità al 100% e non superano una certa soglia di reddito. È previsto un sostegno anche per coloro che hanno un’invalidità compresa tra il 75% e il 99% e non superano una certa soglia di reddito. In questo caso specifico il valore dell’assegno è pari a poco meno di 315 euro.
- Responsabilità dei sindaci
Dolo da accertare con rigore. Il curatore deve vagliare scrupolosamente gli elementi a propria disposizione e attivarsi con puntuali indagini per accertare e documentare – nelle proprie relazioni – gli elementi posti alla base di eventuali ipotesi di responsabilità civili e penali a carico dei sindaci. I sindaci continuano infatti a rispondere illimitatamente per i comportamenti dolosi anche dopo che la legge 35/2025, modificando l’articolo 2407 del Codice civile, ha introdotto un tetto alla responsabilità limitando il danno risarcibile a un multiplo dei compensi annui, tranne quando i sindaci «hanno agito con dolo». Di qui l’esigenza di circoscrivere con precisione i casi in cui tale dolo sia ravvisabile, soprattutto in presenza di comportamenti omissivi. Fatti salvi casi rarissimi, alla luce dei criteri dettati dalle sezioni unite della Cassazione nella sentenza Thyssenkrupp (la 38343/2014) va escluso che eventuali carenze nei controlli possano integrare il dolo eventuale. Il nuovo regime di responsabilità dei sindaci rischia però di aumentare i casi in cui i curatori, ignorando i criteri dettati dalle Sezioni unite, qualificano come dolose condotte che non lo sono al fine di aggirare il tetto alla responsabilità. È già successo che alcuni “campanelli d’allarme” (come ad esempio omessi versamenti) siano stati considerati come una sorta di accettazione del rischio da parte dei sindaci del fatto che gli amministratori commettessero fatti di bancarotta. All’opposto, se il sindaco è assicurato, potrebbe esserci la tentazione di non qualificare le azioni come dolose poiché il dolo esclude la copertura. Il rischio è quindi che vengano qualificate come dolose condotte di sindaci con patrimoni capienti e colpose quelle di chi è assicurato. I criteri da seguire La sentenza Thyssenkrupp ha individuato una serie di criteri utili ad orientare l’interprete (si veda l’articolo a fianco) in un accertamento tutt’altro che semplice, che risulta ulteriormente difficoltoso quando ci si addentra nei meandri dei reati societari, fiscali, e concorsuali – nell’ambito dei quali è pressoché impossibile ancorare il giudizio di colpevolezza a un evento naturalistico. I curatori devono invece procedere con serietà e cautela, evitando il facile ricorso ad ipotesi di dolo eventuale in assenza dei rigorosi presupposti di legge. I principali criteri da seguire per l’accertamento del dolo nella relazione e previsti dall’articolo 130, comma 4, del Codice della crisi dettati dalla sentenza Thyssenkrupp sono: l’importanza del bene giuridico messo in pericolo; la probabilità concreta di verificazione dell’evento lesivo; il comportamento dell’agente successivo al fatto; l’adozione di cautele idonee a evitare l’evento; la persistenza nell’azione nonostante la possibilità dell’evento; la motivazione della condotta e la personalità; le pregresse esperienze dell’agente. Attraverso questi criteri, da applicare in base alle peculiarità del caso concreto, il giudice (e quindi il curatore nelle sue indagini) deve valutare se ci si trovi di fronte a un errore di previsione controllabile, dunque a un’ipotesi – al più - di colpa cosciente, ovvero a una deliberata decisione di non agire anche a costo che si verificasse l’evento, che costituirebbe una ipotesi di dolo eventuale. Generici campanelli d’allarme La mera segnalazione di generici “campanelli d’allarme” non è sufficiente ad imputare ai sindaci le azioni dolose degli amministratori: occorre anche dimostrare che da tali avvisaglie risultasse prevedibile lo specifico illecito poi accertato, che apparisse molto probabile che l’amministratore l’avrebbe commesso e che il sindaco abbia deciso di non attivarsi per impedirlo. Circostanze che il curatore deve accertare con indagini approfondite, anche sentendo i sindaci per consentire eventuali chiarimenti: si tratta di obbligo previsto anche dai codici deontologici dei dottori commercialisti (articolo 14) e degli avvocati (articolo 22). In assenza di rigorose prove, il curatore deve quindi astenersi dal formulare ipotesi dolose. © RIPRODUZIONE RISERVATA
- Sindaco
Riunione NORME DI COMPORTAMENTO DEL COLLEGIO SINDACALE DI SOCIETÀ NON QUOTATE
- Pmi, dalla finanza innovativa un poker di opportunità
Negli ultimi anni il panorama della finanza alternativa ha offerto alle Pmi diverse leve per sostenere la crescita e gli investimenti, superando potenziali limitazioni del credito bancario. Un recente documento del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ha analizzato le caratteristiche di alcuni di questi strumenti. Vediamo qui, in particolare, vantaggi, rischi, costi, di crowdfunding, vendor loan, minibond e strumenti finanziari partecipativi. Il crowdfunding (finanziamento collettivo) è uno degli strumenti che ha guadagnato maggiore popolarità. Dal punto di vista di una Pmi, il vantaggio principale risiede nella sua potenziale accessibilità. Permette di bypassare i canali bancari tradizionali e di raggiungere direttamente un vasto pubblico di possibili investitori, riducendo le richieste di garanzie collaterali. Un'altra opportunità interessante è legata al marketing e alla visibilità che una campagna di crowdfunding può generare per l'impresa e il suo progetto. Tuttavia, questo strumento non è esente da rischi e costi. La preparazione e la gestione di una campagna richiedono risorse e impegno, e la riuscita non è garantita. Se l'obiettivo di raccolta non viene raggiunto, l'impresa potrebbe aver sostenuto spese importanti senza ottenere il capitale desiderato. Le piattaforme di crowdfunding applicano inoltre commissioni che possono essere significative in rapporto al capitale raccolto. Il vendor loan rappresenta una forma di finanziamento fornita direttamente dal venditore all'acquirente, tipicamente nell'ambito di acquisizioni o cessioni di azienda, ma può essere usato anche per finanziare l'acquisto di beni o servizi specifici. Il principale vantaggio per una Pmi che acquista è la flessibilità che può offrire, con termini di pagamento dilazionati o personalizzati che possono alleggerire la pressione immediata sulla liquidità. Inoltre, può facilitare l'accordo tra acquirente e venditore. Ma il costo, in termini di interessi applicati dal venditore, potrebbe essere superiore rispetto a un finanziamento bancario tradizionale. I minibond sono titoli di debito emessi da Pmi non quotate per finanziarsi sul mercato dei capitali. Per una Pmi, l'opportunità principale offerta dai minibond è la possibilità di raccogliere capitali, anche di entità significativa, superiori a quello che si può ottenere tramite il credito bancario tradizionale, e magari con scadenze più lunghe. Il mercato dei minibond ha raccolto 1,5 miliardi di euro nel 2024, segnalando un interesse crescente da parte delle imprese e degli investitori. Un singolare aspetto che caratterizza i minibond consiste nel fatto che l’operazione di emissione non viene segnalata in Centrale rischi della Banca d'Italia. Tuttavia, l'emissione di minibond comporta costi iniziali non indifferenti, legati alla strutturazione dell'operazione. Richiede inoltre una certa struttura aziendale e trasparenza informativa, per attrarre investitori. Infine, gli strumenti finanziari partecipativi sono veicoli che consentono a un'impresa di raccogliere capitali attribuendo agli investitori diritti patrimoniali e/o amministrativi, senza necessariamente conferire la qualità di socio in senso stretto. L'opportunità principale per la Pmi è di ottenere finanziamenti a lungo termine che possono essere meno onerosi per la liquidità nel breve periodo, in quanto il rendimento per l'investitore è spesso legato ai risultati economici dell'impresa. Questo può far convergere gli interessi dell'investitore a quelli dell'impresa. Il rischio principale è la potenziale diluizione del controllo o degli utili per i soci esistenti, a seconda dei diritti attribuiti. Riproduzione riservata
- Casa, nel 2025 il mercato cresce ma agitato da spinte opposte
Cosa muove le compravendite degli italiani. Gli italiani tornano a sognare casa, ma non tutto gioca a loro favore. I tassi stanno scendendo, ma allo stesso tempo chi vuole comprare casa deve tenere in considerazione che le quotazioni di mercato sono in crescita così come si stanno alzando i costi di ristrutturazione. Nel 2025 le compravendite immobiliari cresceranno dello 0,8% rispetto ai livelli dell'anno precedente, e raggiungeranno quota 725mila, il mercato tuttavia risentirà fortemente di dinamiche opposte. Lo rileva l'ultima edizione dell'indagine Fimaa-Confcommercio sul mercato immobiliare residenziale italiano in cui si esaminano i dati del I quadrimestre 2025. La Federazione Italiana Mediatori Agenti d'Affari sottolinea che gli italiani tornano a sognare di cambiare casa, spinti dal calo dei tassi di interesse sui mutui, e da una sempre maggiore attenzione per l'efficientamento energetico; allo stesso tempo tuttavia devono prendere in considerazione fattori come le quotazioni di mercato in crescita, i costi di ristrutturazione elevati e un livello dei salari medi che limita fortemente le possibilità di accesso al credito. Si alzano le quotazioni sul mercato Secondo l'indagine Fimaa-Confcommercio, i prezzi delle abitazioni sono rimasti sostanzialmente stabili (63,4%), ma una percentuale significativa degli intervistati (30,6%) ritiene che le quotazioni siano cresciute ulteriormente. È il risultato di una domanda di acquisto stabile (56,8%) o addirittura in crescita (23,9%), e di un'offerta agli stessi livelli dell'anno scorso (44,1%) o in calo (43,8%). L’andamento delle compravendite Il numero delle compravendite nel I quadrimestre rimane sostanzialmente stabile per la maggior parte degli intervistati (57,6%), cala per il 28,4%, cresce per il 13,9%. «Il primo quadrimestre viene considerato dagli agenti Fimaa sostanzialmente stabile su tutti gli asset: domanda, numero di transazioni, prezzi; ma, se queste prime tre voci hanno una tendenza all'aumento, si avverte però una tendenza alla riduzione dell'offerta di immobili sul mercato» spiega il presidente Fimaa, Santino Taverna. «La maggior richiesta contrapposta alla minor offerta influenza la tendenza al rialzo dei prezzi. Potrebbe ravvisarsi ancora una contrazione dell'offerta immobiliare e la probabile conseguenza di un ulteriore incremento dei prezzi per le nuove unità e per quelle riqualificate ed efficientate energeticamente», continua Taverna. Le attese degli agenti immobiliari Fimaa sulla stabilità dei prezzi si sono ridotte negli ultimi quattro mesi dal 76% del terzo quadrimestre 2024 al 58% del primo quadrimestre 2025. Anche la percentuale di coloro che prevedono l'aumento dei prezzi sale al 35% rispetto al 18% previsto nel quadrimestre precedente. I principali fattori che sosterranno il mercato nel prossimo periodo saranno l'ulteriore calo dei tassi di interesse (39,7%, ma questo dato era al 56,9% nella precedente rilevazione), oltre alla crescente volontà di acquistare un immobile, anche come investimento (espressione del 30,7% degli operatori), fermo restando l'interesse verso le unità con minori spese di gestione. Riproduzione riservata
- Caos certificazioni uniche per locazioni turistiche
A meno di 30 giorni dalla scadenza fiscale, locatori e gestori affrontano ritardi e errori nei documenti fiscali da portali come Airbnb e Booking. È caos certificazioni uniche per i redditi prodotti dalle locazioni turistiche nel 2024: a meno di 30 giorni dalla scadenza per il pagamento delle imposte si riscontrano casi di locatori e gestori impossibilitati nella predisposizione della dichiarazione dei redditi perché ancora in attesa del documento fiscale attestante gli incassi e le ritenute trattenute dai portali come Airbnb e booking. In altri casi invece i documenti inviati dai citati intermediari presentano errori nella quantificazioni dei redditi e delle ritenute o nei i giorni di avvenuta locazione dell’immobile. Altra fattispecie riguarda invece le “improprie intestazioni” delle certificazioni che vengono rilasciate non al proprietario dell’immobile e titolare delle “licenze” amministrative ma al soggetto, diverso dal proprietario, che si è registrato come host sui portali. In quest’ultimo caso l’errore è generato proprio dalla non corretta registrazione effettuata dai contribuenti e l’intestazione “sbagliata” effettuata dei portali è una conseguenza di questo non corretto input. Per chi presenta il modello 730 e si attende un rimborso già in luglio, il termine è ancora più vicino, fissato al 20 giugno. La regolarizzazione delle ritenute di Booking CU ancora in attesa. Lo stallo dell’invio delle certificazioni nasce dall’attività di regolarizzazione delle ritenute 2024 non trattenute da Booking. Il portale olandese sta portando avanti da ormai 5 mesi una operazione di regolarizzazione di recupero e versamento tardivo nel 2025 delle ritenute 2024 dai suoi host, molti dei quali non erano capienti in un periodo di bassa stagione, o non erano disponibili a pagare in unica soluzione all’OTA (online travel agency) l'intero saldo 2024 già a febbraio, primo termine proposto per il recupero delle ritenute omesse. La situazione è in stallo ancora oggi quando le scadenze fiscali si avvicinano. Paradossalmente, alcune situazioni regolarizzate sono le più contestate dagli operatori, perché la cedolare secca arretrata è stata recuperata da Booking in automatico con uno strumento improprio, come il modulo Sepa (ex Rid), valido solo per i crediti commerciali (commissioni), in qualche caso azzerando i conti bancari dei locatori. Risultano inoltre improprie trattenute ad alcune tipologie di B&B o altre con attività svolta imprenditorialmente alle quali non si applica la tassazione al 21%. Errata intestazione delle certificazioni uniche Le errate intestazioni. In questo caso si tratta di un errore indotto dai contribuenti che in fase di registrazione sul portale dell’intermediario (es. Airbnb o booking) hanno “iscritto” un soggetto diverso dal proprietario dell’immobile e titolare delle eventuali abilitazioni amministrative necessarie per lo svolgimento dall’attività. La conseguenza è che i portali hanno emesso le certificazioni uniche, con redditi e ritenute, intestate ai soggetti registrati sui portali e non nei confronti dei contribuenti che invece devono dichiarare quanto incassato e pagare le eventuali imposte. Come risolvere le problematiche di intestazione SCOPRI DI PIU' In questo caso le vie da percorrere sono due. La prima è la richiesta della correzione della certificazione unica, un risultato però difficile da ottenere soprattutto nei termini del 30 giugno, ovvero il giorno in cui si devono quantificare e versare le imposte per il 2024 e gli acconti per il 2025. La seconda strada invece consiste nel rispettare quanto previsto dal testo unico delle imposte sui redditi in coordinamento con quanto indicato anche dall’agenzia delle entrate nella circolare 24 del 2017, ovvero far dichiarare i redditi percepiti dal proprietario dell’immobile lasciando invece le ritenute in capo al soggetto iscritto sul portale che può eventualmente chiederle a rimborso, utilizzarle come credito in compensazione, o farsele liquidare dal datore di lavoro (o dall’ente pensionistico) presentando il modello 730. (riproduzione riservata)